mercoledì 18 giugno 2014

PRIMA CHE SIA TARDI. INCONTRO CON LA VIOLENZA. Di Claudia Rubini

Pubblichiamo alcuni passi dell'articolo di Claudia Rubini sulla violenza uscito presso i Quaderni LETTERA il cui ultimo numero è dedicato a CURA E SOGGETTIVAZIONE (a cura di A. Zanon, Mimesis, 2014) 

 I numerosi fatti di cronaca parlano, ogni giorno, di violenze perpetrate all’interno di legami affettivi; in diversi casi, purtroppo, se ne parla perché ragazze o donne vengono uccise da chi si presumeva dovesse amarle. Si sa sempre molto poco di queste donne e delle loro storie, ma c’è un aspetto comune che si trova sempre quando si legge di loro: “è stata una tragedia annunciata”; il passaggio all’atto violento che ne ha determinato la morte avviene, solitamente, dopo mesi o anni di maltrattamenti e violenze. 
Cosa si può fare per contrastare il fenomeno della violenza? Cosa si può fare prima che sia tardi? Da un lato, l’operazione che a livello culturale, sociale, mediatico si sta tentando di produrre è una focalizzazione sul maschile; tra i temi trattati, in primo piano c’è sempre di più quello che interroga gli uomini, la loro posizione di carnefici e come questa possa evolversi, modificarsi, produrre un possibile cambiamento [...].
Quando si parla di violenza sulle donne si parla davvero delle donne? O si parla di quante botte hanno preso, quante costole rotte, quali organi danneggiati, come sono state uccise? Solitamente sappiamo da quanto tempo stavano con il loro carnefice. Ma sulla loro posizione ci si interroga mai? Su cosa le abbia portate lì, sul perché, sul loro modo di desiderare, di amare, etc. [...].

Quando si parla di amore le cose si complicano sempre, perché per quanto si cerchi di darne una definizione, di trovare una consistenza in questo “essere amate”, ogni donna cercherà di fornire una risposta a partire dalla sua interpretazione dell’amore. Quest’ultima non giunge improvvisamente ma si costruisce nel corso del tempo in rapporto all’Altro familiare, a partire dunque dall’infanzia, fino a trovare la sua manifestazione nell’adolescenza, nell’incontro con l’altro sesso.
Come una ragazza entra nel campo ignoto dell’amore e della sessualità? Lo fa, con l’unica cosa che la orienta: l’interpretazione inconscia del posto che lei ha occupato nel desiderio dell’Altro. Detto in altri termini, la domanda inconscia che la bambina, nel corso del suo sviluppo, rivolge al suo Altro familiare è: come devo essere perché tu mi ami? Come devo essere per non perdere il tuo amore? Quindi, interpreta qual è la posizione che catalizza questo amore e vi si identifica; è a partire da questa che entra nel discorso amoroso. Potremmo dire che la nostra giovane ragazza ha una base di partenza, una traccia, che in psicoanalisi si chiama identificazione. Ma cosa fa sì che questa traccia possa trasformarsi in un marchio rovinoso, che può portare una giovane donna ad accettare di subire ripetute violenze all’interno di un legame definito d’amore? [...].
Armenia, 1895
Uno schiaffo, un pugno, un calcio rompono la legge della parola, che fonda l’umanizzazione della vita implicando l’esperienza del limite e il rispetto dell’alterità.
Il soggetto femminile in quell’istante è un oggetto in balia dell’altro, di un altro che gode malevolmente del suo corpo; ed è lo stesso altro, la stessa persona che, fino ad un istante prima, quel corpo lo aveva adorato, contemplato, eletto a suo oggetto di desiderio. È un’esperienza terribile, ancor più per una ragazza che si è appena affacciata all’amore: eccola confrontata con qualcosa di inspiegabile, di incomprensibile. Cosa ci farà questa ragazza con questo incomprensibile che ha incontrato? Questa è la grande questione che muove l’etica e la clinica della psicoanalisi. Per la psicoanalisi non c’è determinismo diretto, ovvero dato un evento si produce inevitabilmente un effetto. Un cattivo incontro non produce necessariamente un trauma. Ma se il trauma si produce, e questo di solito accade quando il soggetto si sente totalmente lasciato cadere, quando non trova le parole per dire, quando non trova una risposta alla sua domanda muta di comprensione, ciò probabilmente innescherà una fissazione che si manifesterà come ripetizione dello stesso [...].
Quel che, dunque, diviene centrale tra la contingenza dell’evento e la necessità inconscia di riprodurlo, è la mediazione soggettiva. Ovvero come un soggetto, esposto a un cattivo incontro, abbia la possibilità di elaborarlo, di togliersi da quella posizione di oggetto che subisce.

In tal senso non c’è nessuna prescrizione corretta o ricetta giusta; tuttavia posso cercare di articolare alcune brevi osservazioni, qualcuna tratta dalla mia esperienza clinica.
La prima. Tutti i genitori “sbagliano”; è inevitabile. È evitabile, invece, pensare di non farlo. Se un genitore non fa i conti con la possibilità di sbagliare e con la sua assunzione che messaggio trasmetterà ai figli? Ogni giorno ascoltiamo in seduta i pazienti parlarci di questo: non è tanto lo sbaglio, l’errore, a segnare il soggetto quanto il fatto che questo sia negato, non riconosciuto o proiettato. Un genitore che fa i conti con la propria mancanza, con le sue difficoltà e non si arrocca nella sua immagine narcisistica, esaltata o rovinata dal figlio, aiuta entrambi.
La seconda riguarda un certo modo di intendere l’adolescenza che viene considerata un periodo alienante da cui ragazzi e ragazze, si spera, prima o poi miracolosamente si ri- prenderanno. “Va beh, si sa, è l’adolescenza...”, ecco una frase che sentiamo spesso pronunciare da genitori. È un’operazione per placare la loro angoscia paragonare l’adolescenza, per certi versi, a un’influenza che poi passerà. Si potrebbe dire che un genitore di un adolescente non deve accontentarsi, soprattutto quando riconosce dei sintomi nei figli, di quello che vede, di quello che pensa di sapere. Deve piuttosto correre un rischio: avere il coraggio di domandare senza avere paura delle risposte. Questo vuol dire accogliere la differenza, accogliere quella vita che per certi versi non si riconosce più nell’adolescenza perché sta cercando una sua identità separata da quella familiare. 

Nessun commento:

Posta un commento