sabato 23 marzo 2013

L'INCIVILTA' DEL GODIMENTO


Abbiamo rivolto un paio di domande al sociologo FEDERICO CHICCHI, autore del libro SOGGETTIVITA' SMARRITA (Bruno Mondadori, Milano 2013). L'intervista completa è reperibile sulla rivista di psicoanalisi Lettera, n. 3 (et al /Ed.)

       Una delle tesi centrali del libro è quella che viene formulata come: inciviltà del godimento. Essa apre una prospettiva assolutamente nuova nel senso che segna un punto di svolta, una “mutazione antropologica”. In che misura questo tema dell’inciviltà del godimento costituisce uno spartiacque decisivo ed essenziale per il nostro futuro? 

In effetti nel volume propongo l’espressione inciviltà del godimento. Ci tengo però a precisare che il mio intento non è stato quello di demonizzare il godimento come tale, come se questo fosse sempre un momento distruttivo e mortifero dell’esperienza soggettiva. 


Quello che mi premeva denunciare, seguendo qui alcune suggestioni di Slavoj Žižek, era invece l’imperante generalizzazione della spinta a godere ad ogni costo, accompagnata dal rischio di rendere evanescente il limite che la normatività intrinseca alla relazione sociale porta necessariamente con sé. Questo imperativo osceno, oltre che consumare e distruggere desiderio, produce una sorta di delirio autistico nel soggetto, all’interno del quale trova cittadinanza una cinica, perversa e maniacale, vanità egoica. Questo imperativo non è altro che il programma antropologico dell’inciviltà neoliberale. Programma che, a mio avviso, occorre contrastare. 


In particolare è nel quarto capitolo che introduco il tema dell’inciviltà del godimento e definisco il contemporaneo come quella fase storica in cui la civiltà così come la avevamo (anche freudianamente) intesa nella modernità, è definitivamente tramontata. Il capitalismo contemporaneo e postfordista abbisogna, infatti, di inscrivere in suo seno, soggettività creative, comunicative e indisciplinate, questo al fine di favorire la produzione di valore nelle nuove filiere immateriali e reticolari del capitalismo cognitivo. La precarietà e il governo dei desideri sono i dispositivi di regolazione che si sostituiscono alla rigida azione sovranitaria e disciplinare del moderno. L’analisi del potere nel capitalismo e contemporaneamente l’analisi dei nuovi processi di soggettivazione che si producono in resistenza ad esso, rappresentano, allora, un tema fondamentale per poter costruire una nuova e radicale prassi collettiva di messa in forma di una nuova democrazia.

Parafrasando Charles Melman quando afferma che la nostra società ormai non è più in grado di trasmettere cos’è la morte, potremmo dire che oggi non sappiamo più trasmettere che cos’è il godimento in quanto lo immaginiamo ormai senza più limite. Ci troviamo, forse a nostra insaputa, in una nuova versione biotecnologica e biopolitica del nichilismo?

Questa è davvero un’annosa e spinosa questione. Ma penso sia importante, e il libro si è posto questo stesso obiettivo, resistere a una lettura tutta pessimistica del presente. Ci troviamo a mio avviso di fronte a un delicatissimo e per certi aspetti assai rischioso bivio storico. La fine della modernità, la crisi ineluttabile del suo ordine simbolico e la crisi della presenza che ne deriva, spinge il godimento a determinarsi come l’unico e illusorio motivo immanente per cui valga la pena continuare a vivere. Il tema del godimento, in questo modo, tende a fare tutt’uno con la vita, senza scarti e senza freni. In questo movimento di generalizzazione del godimento si perde però la responsabilità del soggetto verso il mondo che abita; s’interrompe, in modo tanto tragico quanto per certi versi farsesco, il continuum che lega, o dovrebbe legare, l’uno all’altro in modo indissolubile. Personalmente credo che oggi il limite al godimento passi dalla riappropriazione condivisa di uno spazio di progettazione sociale del vivere in comune. In altre parole passi dalla possibilità di rinnovare lo spazio e il discorso politico al di là delle macerie del moderno. La strada per tornare indietro, infatti, non è più percorribile. Non è più auspicabile innalzare totem cui identificarsi e conformarsi in modo irriflesso e subordinato; anche se resta alto il rischio di tornare a emularne in forme inedite certe caratteristiche autoritarie se non addirittura dittatoriali. Dobbiamo quindi fare in modo che prevalga un desiderio di costruzione di una nuova democrazia, di una nuova legalità del vivere in comune. 

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