giovedì 13 dicembre 2012

Desiderio, soggettività, denaro


Il desiderio, l’oggetto, il denaro: tre parole cruciali, che tessono, mai come oggi, lo scenario del nostro tempo. Scintillano, ciascuna con la propria lucentezza, portando luce negli angoli più scabrosi dell’immaginario degli individui. Il desiderio, l’oggetto, il denaro: tre termini che si incrociano in una serie di rimandi e di inganni insidiosi. Quasi che il denaro, “scambiatore universale” per eccellenza, con la sua onnipotenza potesse esaudire tutti i desideri impossessandosi voracemente di qualsiasi oggetto. Due libri, di uno psicoanalista e di un filosofo, scandagliano da angolature differenti una serie di tematiche che appartengono all’attualità. I punti di intersezione sono parecchi. Parliamo di Ritratti del desiderio di Massimo Recalcati (Raffaello Cortina, 2011) e di Soggettività e denaro. Logica di un inganno di Silvano Petrosino (Jaca Book, 2011). (Interv. di Giancarlo Ricci).




         Partiamo dal desiderio, parola dai mille volti. Secondo Recalcati, psicoanalista e docente all’Università di Pavia, il desiderio resta “la parola chiave” della psicoanalisi a condizione di non confonderla con “l’arbitrio, il capriccio o con l’assenza della Legge”. In effetti una certa accezione di desiderio “permette di intendere la cifra antropologica e sociale del nostro tempo”: l’uomo senza desideri. Lo spegnimento del desiderio nella nostra epoca risponde alla logica del discorso capitalista che propugna, in modo compulsivo, “un’apologia del desiderio di godere” che conduce a una saturazione mortifera e nichilistica. Ma esistono diversi volti del desiderio, avverte Recalcati. Il suo volto più luminoso è quello che pulsa al centro della nostra soggettività e che anima il nostro progetto di vita. Nel libro l’autore passa in rassegna, come in una galleria di ritratti, dieci differenti coniugazioni del desiderio, evidenziandone di volta in volta luci e ombre. Il percorso invece in cui si inoltra Petrosino, docente di filosofia all’Università Cattolica di Milano e di Piacenza, è costellato da riferimenti ad Heidegger, Lacan, Lèvinas, Simmel ma anche ad alcune pagine di Kafka. Le sue mosse si susseguono con rigore: il desiderio non è il bisogno, l’assenza dell’oggetto non coincide con la mancanza, perché quest’ultima, costitutiva del soggetto, rappresenta la “cifra del desiderio umano”. L’inganno incomincia quando il soggetto presume di sapere quale è la propria mancanza e crede di padroneggiare il desiderio fino a farlo coincidere con il bisogno. In preda a questo meccanismo il soggetto cercherà ben presto un altro oggetto, ancor più luccicante, per colmare quello che ritiene il suo bisogno. Ecco come la logica dell’autoinganno riproduce l’abbaglio degli idoli. Ecco come il denaro, apparentemente “il meno pericoloso e il più democratico dei fantasmi”, promuove la proliferazione di questo autoinganno.
         Ai due autori abbiamo rivolto qualche domanda. Partiamo dalla società ipermoderna: “In che misura l’esasperata proliferazione di oggetti di desiderio produce una sorta di ottundimento della soggettività, una logica dell’inganno?”. “Ogni volta - afferma Petrosino - che l'uomo cerca una risposta al proprio desiderio attraverso il possesso di oggetti - la «roba» di cui parla Verga - va incontro a un fallimento. Questa mi sembra essere un'esperienza quotidiana, evidente. In effetti il possesso di un oggetto garantisce al soggetto un certo godimento e una qualche soddisfazione, anche se temporanei. Così, di fronte allo sconcerto del desiderio, il soggetto tenta sempre di tradurre la strana logica del desiderio nella più famigliare logica del bisogno. Quest’ultima, proprio perché finalizzata all'oggetto, è manipolabile e dominabile. In altri termini, il soggetto tenta di abitare il proprio desiderio come se fosse un mero bisogno. Un simile tentativo sta alla base della costruzione dell'idolo e di ogni idolatria. Parodiando Lacan si potrebbe dire: consumate, si continui a consumare, il consumo non si fermi: per il desiderio ripassate”. Il discorso del capitalista - precisa Recalcati - crede nella potenza salvifica dell’oggetto. Anzi, la sua astuzia fondamentale consiste nel proporre l’oggetto come nuovo idolo. In questo senso Pasolini definiva il nostro tempo come «politeista». Credere nell’oggetto significa attribuirgli un potere salvifico. L’oggetto promette di guarire il dolore di esistere. Si tratta di una versione medicinale dell’oggetto. Dall’altra parte però il discorso del capitalista deve presentare tutta l’inconsistenza, la vacuità, il carattere effimero di questo oggetto. L’oggetto deve promettere una (falsa) salvezza ma deve anche essere totalmente inconsistente per alimentare la macchina produttiva e la potenza seduttiva del mercato. E’ questo l’inganno fondamentale che sostiene questa visione dell’oggetto. La psicoanalisi invece non crede nell’Oggetto ma al suo fallimento. Crede nella vocazione del desiderio che non dipende dal feticismo dell’Oggetto. Il desiderio infatti non dipende da nessun oggetto ma si centra sul carattere incomparabile del soggetto dell’inconscio. E’ vocazione, spinta, visione, slancio al di là dell’Oggetto!”.
         Di sicuro l’altra faccia dell’oggetto è quella del denaro, immaginato incarnare una potenzialità magica. Chiediamo ai nostri autori: “In che misura oggi il denaro promuove il principio secondo cui tutto è possibile? Come ristabilire una dimensione del limite?” La forza del denaro - riprende Petrosino - è data dal fatto che permette il possesso di oggetti, e di conseguenza quel certo godimento che il soggetto tende a interpretare come la risposta al proprio desiderio. Il denaro non è in sé un male, ma tende quasi inevitabilmente a diventarlo: permette l'accesso all'infinità degli oggetti, alimenta l'illusione che il loro possesso coincida con la risposta che il soggetto cerca. Del resto l’umanità si è spesso consegnata a follie ben più inquietanti e pericolose di quella del denaro: per esempio «la patria», «la razza», «il sangue», «il popolo», «la terra», «la casta»”. Possiamo affermare - ribadisce Recalcati - che “il tutto è possibile è una formula della perversione. Il nostro tempo ne ha fatto uno slogan per definire una versione solo immaginaria del desiderio. Il desiderio sembra svincolarsi da ogni esperienza del limite. Diventa una parodia della libertà nel senso che riduce la libertà al capriccio. Diversamente, per la psicoanalisi il desiderio è innanzitutto in rapporto a un impossibile: non si può avere tutto, sapere tutto, godere di tutto. Il desiderio è una forza che si nutre del limite e porta sempre con sé una povertà, una lontananza, che è un tesoro. La magia illusoria del denaro invece sembra voler cancellare ogni esperienza del limite. Ma in questo modo finisce per distruggere l’esperienza stessa del desiderio che è l’esperienza dell’umanizzazione della vita”.

         “I giovani di oggi - chiediamo ancora a Recalcati – quali rischi corrono in una società che permette di avere e consumare tutto e subito?”. “I giovani sono assediati da oggetti di ogni genere. La prossimità di oggetti inumani, quelli tecnologici o gadget, di oggetti di godimento quali la droga o l’alcol, sembra spostare l'interesse dei giovani dall'incontro amoroso con l'Altro a una consumazione senza relazione. Non è un caso che in questa tendenza triste e permanente che caratterizza il nostro tempo si assista a un dilagare della depressione proprio tra le nuove generazioni. Quando manca il desiderio la vita si manifesta come una muffa superflua e insensata. Del resto il disagio giovanile oggi non è più generato dal conflitto contro i padri nel nome del desiderio, ma dalla fatica dei giovani di accedere al desiderio. Questo dipende anche dal fatto che i padri contemporanei non riescono ad assumere una funzione educativa: sembrano non essere più in grado di offrire una testimonianza credibile che si può vivere questa vita con slancio e creatività, senza lasciarsi catturare dalle sirene di un godimento facile e sempre a disposizione”. “Va precisato che questa società - riprende Petrosino - punta non tanto al possesso delle singole cose quanto alla promozione della logica del fantasma, ossia dell’idea onnipotente di poter possedere qualsiasi cosa. I giovani, avendo un accesso quasi immediato agli oggetti, credono di trovare subito una risposta immeditata al loro desiderio. Ecco l’inganno, ed è devastante. Capita per esempio che gli adolescenti riproducano nella realtà quello che vedono nei videogiochi. Ma il reale è fatto di sudore, di malattia, di morte, di gioia, di corpo. Nel virtuale manca il corpo. Mentre una volta l’accesso difficoltoso alle merci rendeva più difficile l’ubriacatura delle cose, oggi attraverso il denaro e l’uso di mezzi tecnologici, l’accesso immediato a ogni bene di consumo può dare l’illusione di raggiungere la pienezza. Contro simile logica occorre cercare di smascherare il potere di questo fantasma. Occorre lottare contro l’idolatria del nostro tempo”.

1 commento:

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